Mercoledì 21 agosto 1996
[214] 1. Presentando Maria come «vergine», il Vangelo di Luca aggiunge
che era «promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe»
(Lc 1,27).
Queste informazioni appaiono, a prima vista, contraddittorie.
Occorre notare che il termine greco usato in questo passo non indica la situazione
di una donna che ha contratto il matrimonio e vive pertanto nello stato matrimoniale,
ma quella del fidanzamento.
A differenza di quanto avviene nelle culture moderne, però, nel costume
giudaico antico l'istituto del fidanzamento prevedeva un contratto e aveva normalmente
valore definitivo: introduceva, infatti, i fidanzati nello stato matrimoniale,
anche se il matrimonio si compiva in pienezza allorché il giovane conduceva
la ragazza nella sua casa.
Al momento dell'Annunciazione, Maria si trova dunque nella situazione di promessa
sposa. Ci si può domandare perché mai abbia accettato il fidanzamento,
dal momento che aveva fatto il proposito di rimanere vergine per sempre.
Luca è consapevole di tale difficoltà, ma si limita a registrare
la situazione senza apportare spiegazioni. Il fatto che l'Evangelista, pur evidenziando
il proposito di verginità di Maria, la presenti ugualmente come sposa
di Giuseppe costituisce un segno della attendibilità storica di ambedue
le notizie.
2. Si può supporre che tra Giuseppe e Maria, al momento del fidanzamento,
vi fosse un'intesa sul progetto di vita verginale. Del resto, lo Spirito Santo,
che aveva ispirato a Maria la scelta della verginità in vista del mistero
dell'Incarnazione e voleva che questa avvenisse in un [215] contesto familiare idoneo
alla crescita del Bambino, poté ben suscitare anche in Giuseppe l'ideale
della verginità.
L'angelo del Signore, apparendogli in sogno, gli dice: «Giuseppe, figlio
di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel
che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20). Egli
riceve così la conferma di essere chiamato a vivere in modo del tutto
speciale la via del matrimonio.
Attraverso la comunione verginale con la donna prescelta per dare alla luce
Gesù, Dio lo chiama a cooperare alla realizzazione del suo disegno di
salvezza.
Il tipo di matrimonio verso cui lo Spirito Santo orienta Maria e Giuseppe è
comprensibile solo nel contesto del piano salvifico e nell'ambito di un'alta
spiritualità. La realizzazione concreta del mistero dell'Incarnazione
esigeva una nascita verginale che mettesse in risalto la filiazione divina e,
al tempo stesso, una famiglia che potesse assicurare il normale sviluppo della
personalità del Bambino.
Proprio in vista del loro contributo al mistero dell'Incarnazione del Verbo,
Giuseppe e Maria hanno ricevuto la grazia di vivere insieme il carisma della
verginità e il dono del matrimonio. La comunione d'amore verginale di
Maria e Giuseppe, pur costituendo un caso specialissimo, legato alla realizzazione
concreta del mistero dell'Incarnazione, è stata tuttavia un vero matrimonio.1
La difficoltà di accostarsi al mistero sublime della loro comunione sponsale
ha indotto alcuni, sin dal II secolo, ad attribuire a Giuseppe un'età
avanzata e a considerarlo il custode, più che lo sposo di Maria.
È il caso di supporre, invece, che egli non fosse allora un uomo anziano,
ma che la sua perfezione interiore, frutto della grazia, lo portasse a vivere
con affetto verginale la relazione sponsale con Maria.
3. La cooperazione di Giuseppe al mistero dell'Incarnazione comprende anche
l'esercizio del ruolo paterno nei confronti di Gesù.
Tale funzione gli è riconosciuta dall'angelo che, apparendogli in sogno,
lo invita a dare il nome al Bambino: «Essa partorirà un figlio
e [216] tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai
suoi peccati» (Mt 1,21).
Pur escludendo la generazione fisica, la paternità di Giuseppe fu una
paternità reale, non apparente.
Distinguendo tra padre e genitore, un'antica monografia sulla verginità
di Maria – il De Margarita (IV sec.) – afferma che «gli impegni
assunti dalla Vergine e da Giuseppe come sposi fecero sì che egli potesse
essere chiamato con questo nome (di padre); un padre tuttavia che non ha generato».
Giuseppe dunque esercitò nei confronti di Gesù il ruolo di padre,
disponendo di un'autorità a cui il Redentore si è liberamente
«sottomesso» (Lc 2,51), contribuendo alla sua educazione e trasmettendogli
il mestiere di carpentiere.
Sempre i cristiani hanno riconosciuto in Giuseppe colui che ha vissuto un'intima
comunione con Maria e Gesù, deducendo che anche in morte ha goduto della
loro presenza consolante ed affettuosa. Da tale costante tradizione cristiana
si è sviluppata in molti luoghi una speciale devozione alla Santa Famiglia
ed in essa a san Giuseppe, Custode del Redentore. Il Papa Leone XIII gli affidò,
com'è noto, il patrocinio su tutta la Chiesa.
NOTE
1 Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Redemptoris custos, 7.
Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIX/2 (1996) p. 214-216
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