43. Maria nella vita nascosta di Gesù

Mercoledì 29 gennaio 1997

      [187] 1. I Vangeli offrono poche e scarne notizie sugli anni trascorsi dalla Santa Famiglia a Nazaret.
      San Matteo narra della decisione presa da Giuseppe, dopo il ritorno dall'Egitto, di fissare la dimora della Santa Famiglia a Nazaret (cf. Mt 2,22-23), ma non dà poi nessun'altra informazione, eccetto che Giuseppe era carpentiere (cf. Mt 13,55). Dal canto suo, san Luca riferisce due volte del ritorno della Santa Famiglia a Nazaret (cf. Lc 2,39.51) e fornisce due brevi indicazioni sugli anni della fanciullezza di Gesù, prima e dopo l'episodio del pellegrinaggio a Gerusalemme: «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui» (Lc 2,40), e «Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52).
      Nel riportare queste brevi notazioni sulla vita di Gesù, Luca riferisce probabilmente i ricordi di Maria, relativi ad un periodo di profonda intimità con il Figlio. L'unione tra Gesù e la «piena di grazia» supera di gran lunga quella che normalmente esiste tra madre e figlio, perché è radicata in una particolare condizione soprannaturale ed è rafforzata dalla speciale conformità di entrambi alla divina volontà.
      Si può dunque concludere che il clima di serenità e di pace, presente nella casa di Nazaret, ed il costante orientamento verso il compimento del progetto divino, conferivano all'unione tra madre e figlio una straordinaria e irrepetibile profondità.

      [188] 2. In Maria la coscienza di assolvere ad un compito affidatole da Dio attribuiva un significato più alto alla sua vita quotidiana. I semplici ed umili lavori di ogni giorno assumevano, ai suoi occhi, un singolare valore, in quanto venivano vissuti da Lei come servizio alla missione di Cristo.
      L'esempio di Maria illumina ed incoraggia l'esperienza di tante donne che svolgono il loro quotidiano lavoro esclusivamente tra le pareti domestiche. Si tratta di un impegno umile, nascosto, ripetitivo e, spesso, non sufficientemente apprezzato. Tuttavia i lunghi anni, trascorsi da Maria nella casa di Nazaret, ne rivelano le enormi potenzialità di amore autentico e quindi di salvezza. Infatti, la semplicità della vita di tante casalinghe, sentita come missione di servizio e di amore, racchiude un valore straordinario agli occhi del Signore.
      E si può ben dire che la vita di Nazaret per Maria non era dominata dalla monotonia. A contatto con Gesù che cresceva, Ella si sforzava di penetrare il mistero di suo Figlio, contemplando e adorando.
      Dice san Luca: «Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19; cf. 2,51).
      «Tutte queste cose»: sono gli eventi di cui Ella è stata, insieme, protagonista e spettatrice, a cominciare dall'Annunciazione; ma, soprattutto, è la vita del Bambino.
      Ogni giorno d'intimità con Lui costituisce un invito a conoscerlo meglio, a scoprire più profondamente il significato della sua presenza e il mistero della sua persona.

      3. Qualcuno potrebbe pensare che per Maria era facile credere, vivendo Ella quotidianamente a contatto con Gesù. In proposito, però, occorre ricordare che gli aspetti singolari della personalità del Figlio rimanevano abitualmente celati; anche se il suo modo di agire era esemplare, Egli viveva una vita simile a quella di tanti suoi coetanei.
      Durante i trent'anni della permanenza a Nazaret, Gesù non svela le sue qualità soprannaturali e non compie gesti prodigiosi. Alle prime straordinarie manifestazioni della sua personalità, collegate con l'avvio della predicazione, i suoi familiari (detti nel Vangelo «fratelli») si as[189]sumono – secondo un'interpretazione – la responsabilità di ricondurlo a casa, perché ritengono che il suo modo di comportarsi non sia normale (cf. Mc 3,21).
      Nella dignitosa e laboriosa atmosfera di Nazaret, Maria si sforzava di comprendere la trama provvidenziale della missione del Figlio.
      Oggetto di particolare riflessione, a questo riguardo, fu sicuramente per la Madre la frase che Gesù pronunciò nel Tempio di Gerusalemme all'età di dodici anni: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Meditandoci sopra, Maria poteva capire meglio il senso della figliolanza divina di Gesù e quello della sua maternità, impegnandosi a scorgere, nel comportamento del Figlio, i tratti rivelatori della sua somiglianza con Colui che Egli chiamava «mio Padre».

      4. La comunione di vita con Gesù, nella casa di Nazaret, portò Maria non solo ad avanzare «nella peregrinazione della fede»,1 ma anche nella speranza. Tale virtù, alimentata e sostenuta dal ricordo dell'Annunciazione e delle parole di Simeone, abbraccia tutto l'arco della sua esistenza terrena, ma si esercita particolarmente nei trent'anni di silenzio e nascondimento trascorsi a Nazaret.
      Tra le pareti domestiche la Vergine vive la speranza in forma eccelsa; sa di non rimanere delusa, anche se non conosce i tempi e i modi con cui Dio realizzerà la sua promessa. Nell'oscurità della fede e in assenza di segni straordinari, che annuncino l'inizio del compito messianico del Figlio, Ella spera, oltre ogni evidenza, attendendo da Dio il compimento della promessa.
      Ambiente di crescita della fede e della speranza, la casa di Nazaret diventa un luogo di alta testimonianza della carità. L'amore che Cristo desiderava effondere nel mondo s'accende ed arde prima di tutto nel cuore della Madre: è proprio nel focolare domestico che si prepara l'annuncio del Vangelo della carità divina.
      Guardando a Nazaret, contemplando il mistero della vita nascosta di Gesù e della Vergine, siamo invitati a ripensare al mistero della no[190]stra stessa esistenza che – ricorda san Paolo – «è nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3).
      Si tratta, spesso, di un'esistenza umile ed oscura agli occhi del mondo; esistenza però che, alla scuola di Maria, può svelare inattese potenzialità di salvezza, irradiando l'amore e la pace di Cristo.

NOTE

1 Conc. Ecum. Vat. II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 58.

Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XX/1 (1997) p. 187-190

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