Mercoledì 29 ottobre 1997
[695] 1. Dopo aver giustificato dottrinalmente il culto della Beata Vergine, il
Concilio Vaticano II esorta tutti i fedeli a farsene promotori: «Il Sacrosanto
Concilio espressamente insegna questa dottrina cattolica, e insieme esorta tutti
i figli della Chiesa, perché generosamente promuovano il culto, specialmente
liturgico, verso la Beata Vergine, abbiano in grande stima le pratiche e gli
esercizi di pietà verso di Lei, raccomandati lungo i secoli dal Magistero».1
Con quest'ultima affermazione i Padri conciliari, senza scendere a determinazioni
particolari, intendevano ribadire la validità di alcune preghiere come
il Rosario e l'Angelus care alla tradizione del popolo cristiano e frequentemente
incoraggiate dai Sommi Pontefici, quali mezzi efficaci per alimentare la vita
di fede e la devozione alla Vergine.
2. Il testo conciliare prosegue chiedendo ai credenti che «scrupolosamente
osservino quanto in passato è stato sancito circa il culto delle immagini
di Cristo, della Beata Vergine e dei Santi».2
Ripropone così le decisioni del secondo Concilio di Nicea, svoltosi nell'anno
787, che confermò la legittimità del culto delle immagini sacre,
contro quanti volevano distruggerle, ritenendole inadeguate a rappresentare
la divinità.3
«Noi definiamo, – dichiararono i Padri di quell'assise Conciliare – con
ogni rigore e cura che, a somiglianza della raffigurazione della croce preziosa
e vivificante, così le venerande e sante immagini [696] sia dipinte che in
mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle
sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti
e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l'immagine del Signore Dio
e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della immacolata Signora nostra,
la Santa Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e giusti».4
Richiamando tale definizione, la Lumen gentium ha inteso ribadire la legittimità
e la validità delle immagini sacre nei confronti di alcune tendenze miranti
ad eliminarle dalle chiese e dai santuari, al fine di concentrare tutta l'attenzione
su Cristo.
3. Il secondo Concilio di Nicea non si limita ad affermare la legittimità
delle immagini, ma cerca di illustrarne l'utilità per la pietà
cristiana: «Infatti, quanto più frequentemente queste immagini
vengono contemplate, tanto più quelli che le vedono sono portati al ricordo
e al desiderio dei modelli originari e a tributare loro, baciandole, rispetto
e venerazione».5
Si tratta di indicazioni che valgono in modo particolare per il culto della
Vergine. Le immagini, le icone e le statue della Madonna, presenti nelle case,
nei luoghi pubblici e in innumerevoli chiese e cappelle, aiutano i fedeli ad
invocare la sua costante presenza e il suo misericordioso patrocinio nelle diverse
circostanze della vita. Rendendo concreta e quasi visibile la tenerezza materna
della Vergine, esse invitano a rivolgersi a Lei, a pregarla con fiducia e ad
imitarla nell'accogliere generosamente la volontà divina.
Nessuna delle immagini conosciute riproduce il volto autentico di Maria, come
già riconosceva sant'Agostino;6 tuttavia esse ci aiutano a stabilire
relazioni più vive con lei. Va incoraggiato, pertanto, l'uso di esporre
le immagini di Maria nei luoghi di culto e negli altri edifici, per sentirne
l'aiuto nelle difficoltà ed il richiamo ad una vita sempre più
santa e fedele a Dio.
[697] 4. Per promuovere il retto uso delle sacre effigi, il Concilio Niceno ricorda
che «l'onore reso all'immagine, in realtà, appartiene a colui che
vi è rappresentato; e chi venera l'immagine, venera la realtà
di chi in essa è riprodotto».7
Così adorando nell'immagine di Cristo la Persona del Verbo Incarnato,
i fedeli compiono un genuino atto di culto, che nulla ha in comune con l'idolatria.
Analogamente, venerando le raffigurazioni di Maria, il credente compie un atto
destinato in definitiva ad onorare la persona della Madre di Gesù.
5. Il Vaticano II esorta, però, i teologi e i predicatori ad astenersi
tanto da esagerazioni quanto da atteggiamenti minimalisti nel considerare la
singolare dignità della Madre di Dio. E aggiunge: «Con lo studio
della Sacra Scrittura, dei santi Padri e Dottori e delle liturgie della Chiesa,
condotto sotto la guida del Magistero, illustrino rettamente i compiti e i privilegi
della Beata Vergine, che sempre hanno per fine Cristo, origine di ogni verità,
santità e devozione».8
L'autentica dottrina mariana è assicurata dalla fedeltà alla Scrittura
ed alla Tradizione, come pure ai testi liturgici ed al Magistero.
Sua caratteristica imprescindibile è il riferimento a Cristo: tutto,
infatti, in Maria deriva da Cristo ed a Lui è orientato.
6. Il Concilio offre, infine, ai credenti alcuni criteri per vivere in maniera
autentica il loro rapporto filiale con Maria: «I fedeli a loro volta si
ricordino che la vera devozione non consiste né in uno sterile e passeggero
sentimento, né in una vana credulità, ma bensì procede
dalla fede vera, dalla quale siamo portati a riconoscere la preminenza della
Madre di Dio, e siamo spinti a un amore filiale verso la Madre nostra e all'imitazione
delle sue virtù».9
Con queste parole i Padri conciliari mettono in guardia contro la «vana
credulità» e il predominio del sentimento. Essi mirano soprat[698]tutto
a riaffermare che la devozione mariana autentica, procedendo dalla fede e dall'amorevole
riconoscimento della dignità di Maria, spinge al filiale affetto verso
di lei e suscita il fermo proposito di imitare le sue virtù.
NOTE
1 Conc. Ecum. Vat. II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 67.
2 Ibidem.
3 Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris Mater, 33.
4 Denz.-Schön., 600.
5 Denz.-Schön., 601.
6 Sant'Agostino, De Trinitate, 8, 7.
7 Denz.-Schön., 601.
8 Conc. Ecum. Vat. II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 67.
9 Ibidem.
Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XX/2 (1997) p. 695-698.
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