SUNTI DELLA LEGENDA DE ORIGINE ORDINIS

dall'opera del Prof. Franco Dal Pino, I frati servi di santa Maria dalle origini all'approvazione, vol. I, Lovanio 1972, p. 249-370.

1

Dopo un'esclamazioneiniziale di lode alla Madre di Cristo e il titolo di “Legenda del b. Filippo” premesso allo scritto, vengono presentati gli uomini illustri che quali padri hanno spiritualmente generato, con le parole e gli esempi, i frati dell'Ordine mostrando loro la strada della vita beata. Vivendo secondo i precetti di Dio e dedicando a lui la propria vita, essi hanno reso accetto l'Ordine al Signore e alla Vergine Maria ottenendo con le loro preghiere che la stessa cosa possa realizzarsi anche in futuro tramite la presenza di santi frati. Di tutto questo rendono testimonianza i miracoli con i quali il Signore ha ornato la loro vita o che sono avvenuti al momento del loro transito o dopo la loro morte.

2

Rivolgendosi ai suoi frati, l'autore li esorta a conformarsi, quali degni figli, agli esempi dei padri in modo da rendere similmente accetto a Dio e alla Vergine l'Ordine, ottenere con la preghiera dal Signore che esso sia conservato anche in avvenire e trasmettere a loro volta ai posteri esempi di santa vita. Se questo si realizzerà, la nostra Signora riceverà gaudio ed onore dal servizio dei suoi frati, Dio sarà indotto a colmare l'Ordine di doni e di grazie spirituali e molti si rivolgeranno ad esso come alla sesta città di rifugio dimorandovi fino al momento in cui la loro anima, morta al mondo e al peccato, passerà tramite la morte corporale alla vita indeficiente e alla piena libertà nel Cristo.

3

Perché appunto non si perda memoria degli uomini illustri sopra indicati, essendo sulpunto di venir meno tutti coloro che li avevano conosciuti, l'autore, spinto dai favori personalmente ricevuti da uno di questi padri, dall'utilità dell'Ordine, dal desiderio dei frati e onde ottenere da Dio per i loro meriti doni di grazia e di gloria, ha deliberato, benché se ne stimi incapace ed indegno, di informarsi sulla loro vita e di tramandarla per iscritto. In tal modo essa servirà di ammaestramento per coloro che vogliono progredire nel bene, permettendo ai frati di poter mirarsi in essa come in uno specchio ritenendo ciò che rileveranno di valido nella loro esistenza e rimuovendone con la compunzione quanto scopriranno di meno conveniente.

4

Il motivo particolare che ha indotto l'autore a decidersi in tal senso è l'aver avuto il privilegio di assistere in quello stesso anno alla traslazione del corpo di uno dei detti padri e ai miracoli avvenuti in quell'occasione: se avesse ricusato di farlo, avrebbe potuto essere giustamente tacciato di ingratitudine. Questi uomini dei quali vuole tramandare la memoria sono stati preceduti, è vero, da molti altri degni di lode, nondimeno essi conservano un posto di speciale rilievo dato che i loro meriti assumono per i frati valore di particolare “documento”. Primo fra essi gli appare il b. Filippo, esempio di fedele servizio alla Madonna tradotto nella perfetta osservanza dei tre voti di religione.

5

Per poter narrare la vita del beato, l'autore, l'anno stesso della traslazione delle di lui reliquie, si è recato nei conventi dove gli è stato possibile andare, informandosi della vita, morte e miracoli di lui presso i frati che l'avevano conosciuto perché erano vissuti con lui in convento o lo avevano accompagnato nei suoi viaggi. Le notizie raccolte sono però risultate assai esigue sia perché lo scrittore ha potuto trovare solo poche persone che avevano conosciuto il beato le quali peraltro ricordavano assai poco, essendo ormai trascorsi più di trentadue anni dalla sua morte, e anche per la consuetudine del santo uomo di tener celato quanto lo riguardava. L'autore, raccogliendo tutti questi dati frammentari li riferirà seguendo l'ordine dei fatti e coordinandoli secondo le esigenze della narrazione.

6

Per completare tali informazioni con elementi relativi alla vita condotta dal beato nel secolo, l'autore si è recato nella città, contrada e casa dove il beato aveva abitato interrogando un nipote dello stesso, dell'età di quasi ottant'anni e un vecchio di nome Fecino quasi centenario ma ancora sano e lucido di mente, che aveva sempre abitato nella stessa contrada di Filippo e vicino alla casa di lui. Le notizie raccolte vengono presentate suddivise in 15 capitoli per utilità di coloro che desiderano ispirarsene per la propria perfezione.

7

Se infatti - rileva lo scrittore iniziando un nuovo discorso - la Vergine Maria, Madre del Signor nostro Gesù Cristo, è generale rifugio dei peccatori, madre dei giusti e signora di tutti coloro che servono Cristo, lo è però particolarmente di coloro che la servono nell'Ordine a lei dedicato e che non hanno avuto per tal motivo alcun santo come vero e proprio fondatore. I frati degli altri Ordini, infatti, benché possano, in tempo di necessità, rivolgersi a lei quale generale rifugio, madre universale e signora comune per ottenerne misericordia, grazia e gloria, hanno però anche un santo fondatore al quale possono ricorrere quando vogliono ottenere per sé o per il proprio Ordine particolari favori da Dio. I frati dell'Ordine consacrato particolarmente alla nostra Signora e che quindi da lei prende il nome, non avendo invece ricevuto alcun particolare fondatore fuori di lei non solo possono rivolgersi ad essa per i suoi titoli universali di mediazione ma anche perché la ritengono loro rifugio speciale, madre particolare e signora del loro Ordine. Di fatto né il b. Filippo né gli altri gloriosi padri, illustri per virtù e miracoli, hanno dato all'Ordine di nostra Signora il primitivo fondamento, né alcuno di loro può essere ritenuto “comune” a tutti i frati: il b. Filippo infatti è stato preceduto egli stesso da altri membri dell'Ordine i quali perciò non potevano ricorrere a lui. È dunque evidente che i frati dell'Ordine della Madonna non hanno fuori di lei alcun santo proprio o speciale non avendo nessuno che possa dirsi fondatore o che sia stato anteriore a tutti i frati che si sarebbero succeduti nell'Ordine stesso.

8

La nostra Signora non ha voluto dare ai frati del suo Ordine un particolare fondatore perché si comprendesse appunto che come essa dà ascolto ai suo frati quale rifugio generale, madre universale e signora comune ottenendo loro dal Figlio suo misericordia, grazia e gloria, così ad essa si devono rivolgere quegli stessi frati anche quando vogliono impetrare qualcosa di particolare per sé e per il loro Ordine. Se questo costituisce per essi un motivo di gloria deve però anche indurli a impegnarsi particolarmente nella santità appunto perché deputati al servizio di una tale Signora: gli indegni temano e si convertano, i puri di cuore perseverino sicuri del premio che li attende.

9

Venuto il tempo nel quale la Vergine Maria si compiacque di radunare i primi frati dell'Ordine che doveva essere a lei dedicato volle che nello stesso tempo e nel medesimo luogo nel quale l'Ordine prendeva origine nascesse anche il b. Filippo, perché poi, cresciuto l'Ordine e giunto contemporaneamente Filippo all'età perfetta, questi potesse, entrandovi, illuminare con la sua presenza i frati quale lucerna ardente posta sul candelabro inducendoli ad un fedele servizio della nostra Signora.

10

Cristo aveva già allora illuminato il mondo per mezzo di due luminari beati Domenico e Francesco, e questi avevano già istituito i due Ordini che portano il loro nome, passando a miglior vita il primo nel 1221 e l'altro nel 1226. I frati, poi, degli Ordini da essi istituiti erano cresciuti.Tra questi, il b. Pietro martire, campione fortissimo di Cristo, aveva già incominciato a manifestarsi al mondo. Volendo successivamente lo stesso Signore suscitare una casa e un Ordine ad onore della Madre sua, perché i frati ad esso appartenenti, una volta riuniti sapessero come servire la Vergine, procurò loro come modello il b. Filippo.

11

Precisando quanto ha annunziato nel precedente numero 9, l'autore afferma prima che nel 1233, nella città di Firenze, in Toscana, nasce il b. Filippo e poi rileva che nello stesso tempo e luogo, per disposizione della nostra Signora, ha origine l'Ordine a lei consacrato e che porta il suo nome. Da ciò egli è indotto a tributar lodi alla Vergine che ha voluto in tal modo far assomigliare Filppo al suo stesso Figlio per la cui nascita si erano radunati i pastori dalla Giudea ed erano accorsi i magi dall'Oriente costituendo le primizie di quel popolo che lo stesso Cristo avrebbe poi, nella pienezza dell'età, ammaestrato e redento. Tale somiglianza non deve attribuirsi che alla benignità della Vergine anche se può essere nello stesso tempo indizio del merito e della dignità di cui essa avrebbe adornato in seguito il suo servo Filippo e l'Ordine a lei dedicato.

12

Lo scrittore passa ora a provare con testimonianze orali quanto ha sopra affermato: Filippo, morto nel 1285, avrebbe detto a fra Bonaventura da Pistoia, poco tempo prima di morire, che egli aveva 52 anni, e Alessio, uno dei sette frati iniziatori dell'Ordine, avrebbe fatto rilevare all'autore che l'Ordine stesso era sorto sei anni prima dell'eclisse totale di sole del 1239, eclisse che aveva interessato l'ltalia. In tal modo sono confermate le date relative all'anno di nascita del b. Filippo e dell'origine dell'Ordine e la loro coincidenza.

13

Dopo varie premesse iniziate fin dal n.7, siamo ora espressamente introdotti dall'autore ad una narrazione delle origini. Egli comincia col rilevare che quanto riguarda appunto l'origine della religione di nostra Signora e i suoi sviluppi fino al generalato del b. Filippo, era stato narrato - come gli risulta da quanto riferito da molti frati - dallo stesso santo in un libretto dal titolo “De origine ordinis”. Tale scritto, veduto e letto da molti frati, era stato poi perduto incidentalmente da uno di essi che l'aveva posseduto per un certo tempo.

14

Malgrado tale perdita e la morte di quasi tutti i testimoni dei fatti, l'autore vuole accingersi a narrare come l'Ordine abbia avuto inizio e si sia sviluppato fino al tempo del b. Filippo, attenendosi a quanto gli è stato trasmesso, nei ventidue anni passati nell'Ordine, da anziani e, in particolare, da fra Alessio, dato che da tali avvenimenti dipende la trama stessa della vita del b. Filippo che egli si è proposto di scrivere.

15

Per introdurre la narrazione annunziata alla fne del numero precedente, dopo alcune espressioni di collegamento con quanto avrebbe già affermato circa il luogo dell'origine dell'Ordine e circa la religione in genere (aspetto, questo, che non si trova invece trattato in alcuno dei paragrafi precedenti) si racconta che nella provincia e città già indicate vi furono sette uomini degni di riverenza e di onore, dei quali la nostra Signora volle servirsi per iniziare l'Ordine dei suoi Servi congiungendoli tra loro a somiglianza delle sette stelle Pleiadi unite al fine di sciogliere i vincoli della costellazione di Orione. Tale numero sarebbe stato voluto dalla Madonna per significare che il detto Ordine doveva essere sempre adornato dai sette doni dello Spirito santo e conservato da uomini dotati di quegli stessi doni in modo da risultare gradito alla Vergine stessa fino alla settima età.

16

Entrando nel vivo del discorso relativo ai sette uomini presentati finora come semplice strumento di cui si è servita la Madonna per iniziare il suo Ordine, si precisa - senza delineare in alcun modo la figura di ognuno degli appartenenti al gruppo - il quadruplice stato al quale essi appartenevano prima di unirsi dando origine all'Ordine. Il primo è definito in base al rapporto dei Sette con la Chiesa nella quale vi sono i tre stati universali dei vergini, dei congiunti in matrimonio e dei vedovi. I Sette si trovavano nell'uno o nell'altro di tali stati, la qual cosa costituirebbe un segno di apertura dell'Ordine - quale sesta città di rifugio - ai laici inseriti nei vari generi di vita. Questa particolare disponibilità dell'Ordine induce l'autore a prorompere in espressioni di lode nei riguardi della nostra Signora. Tale dato viene documentato con un testo che deriverebbe dal libretto delle “Costituzioni antiche” che i Sette osservavano nel mondo prima di formare una comunità e perciò quando ancora facevano parte di un più vasto gruppo spirituale da cui non erano esclusi i coniugati, a causa dei quali si era dovuta fissare per i membri una regola di vita moderata e adatta a tutti.

17

Il secondo stato nel quale erano inseriti nel secolo i futuri fondatori dell'Ordine dei Servi è definito in rapporto al compito sociale da essi svolto in favore della collettività cittadina. Partendo da un rilievo economico-sociale ben attinente a quel dato momento storico, l'autore nota che il benessere della città e dei suoi abitanti è basato sul commercio delle cose terrene in vista del quale sono stati stabiliti diversi commerci ed arti. Ora i detti sette uomini erano appunto tutti impegnati nel commercio “secondo l'arte della mercanzia” fino al momento in cui, trovata la perla preziosa - cioè il nostro Ordine, precisa l'inciso - non solo venderono, conformemente al consiglio evangelico, quanto possedevano distribuendo il ricavato ai poveri, ma consacrarono se stessi al servizio di Dio - e di nostra Signora - e da negozianti di cose terrene divennero mercanti di cose celesti e amatori di anime da salvare.

18

Il terzo stato di vita è definito per rapporto alla “riverenza” e “onore” resi dai Sette alla nostra Signora. Essi infatti, prima ancora di riunirsi, appartenevano quali “precipui amatores” della Madonna ad una società fondata in onore di lei, società che per l'antichità dell'istituzione e per la numerosità dei membri veniva detta “societas maior Domine nostre”, in modo da distinguerla da altre consimili, sorte in un secondo momento e dette semplicemente “Domine nostre societates”. In seguito a tale precisazione, l'autore rileva i legami che uniscono l'Ordine dei Servi alla Toscana, a Firenze e particolarmente alla detta società, le quali sono state illustrate dal b. Filippo, dai predetti sette uomini e dall'origine dell'Ordine dei Servi. Di conseguenza il detto Ordine e le diverse entità sopra accennate si devono a vicenda rispetto e sostegno “ubique terrarum”, come già avviene tra i bolognesi e i frati Predicatori a causa del b. Domenico e tra gli assisiati e i frati Minori a causa del b. Francesco. Dopo questa parentesi a sfondo regionale e forse politico, nella quale il b. Filippo riprende inaspettatamente un posto di rilievo, l'autore torna al discorso iniziale e riferisce, a conferma dei particolari rapporti tra i sette laici fiorentini e la Madonna, un testo tratto dallo stesso libretto di Costituzioni osservate dai Sette nel secolo (già citate a proposito del loro primo stato di vita) da cui appare che gli uomini ai quali si rivolgeva avevano compiuto un gesto penitenziale di consacrazione al servizio della Vergine Madre di Dio, assumendo di conseguenza il titolo di “servi di santa Maria” e, dietro consiglio di uomini saggi, un “modus vivendi” particolare.

19

Il quarto e ultimo stato si riferisce al rapporto dei futuri iniziatori dell'Ordine con l'impegno di perfezione cristiana. Questa consiste - secondo l'autore - in una vita improntata di religiosità, con la quale solo si può giungere a contemplare la vita superiore iniziata con il battesimo o reintegrata con la penitenza, che permette di ritrovare la fede perduta per adesione all'eresia o di restituirle, dopo il peccato, la primitiva bellezza. L'autore torna a ripetere, come nel n. 15, che ha precedentemente parlato di questa virtù di religione e afferma che gli uomini venerabili dei quali sta trattando, anche se non avevano tutti conservato integro il legame contratto con il battesimo, si erano però rivestiti della virtù di religione con l'assumere volontariamente lo stato penitenziale, legando così le loro anime a Dio. Su tale virtù disquisisce poi identificandola con la perla preziosa - di cui aveva parlato al n. 17 - acquistata dai Sette a prezzo di un totale spogliamento dei beni, onde poi comportarsi in ogni cosa secondo i dettami della Sapienza divina fissati nelle parole evangeliche.

20

La virtù di religione - della quale si è parlato sopra - sviluppandosi spinge i sette penitenti fiorentini ad occuparsi solo di cose celesti. Essi scelgono così la contemplazione come la parte migliore, si intrattengono con uomini intenti ai beni superni, decisi a non voler in alcun modo separarsi da Dio e a cercare di essergli indissolubilmente uniti fino a desiderare la morte corporale per essere stabilmente con lui.

21

A tale scopo essi si impegnano costantemente nel culto divino. Tale culto - rileva l'autore - o è generale, e quindi proprio di ogni cristiano che vivendo nel mondo voglia serbarsi immune dal peccato dopo aver ricevuto il battesimo o essersi poi dato ad una vita di penitenza, o è specifico, cioè proprio di coloro che impegnandosi nella vita religiosa si obbligano ai tre voti dedicandosi totalmente al servizio divino. Ora, i detti gloriosi uomini, vivendo già nel secolo legati spiritualmente a Dio, erano dediti al suo culto e amandolo sommamente e tutto indirizzando ad onore di lui, si preparavano a rendergli un culto speciale unendosi tra loro, vivendo secondo i tre voti di religione e impegnandosi solo al servizio della nostra Signora.

22

Il paragraio si riallaccia a quanto detto nei nn. 15 e 10 circa la religiosità degli uomini illustri dell'Ordine, ripetendo che tale loro religiosità è dimostrata dal fatto che essi sono stati scelti dalla nostra Signora per fondare l'Ordine suo e dei suoi servi. Illustra poi l'asserto - come aveva fatto ugualmente al n. 15 - con 1'immagine della Pleiade, meglio specifícandola. Queste stelle - si argomenta - appartengono infatti al segno del Toro nel quale il sole entra il 15 aprile e sorgono perciò in primavera: così - nota l'autore riferendosi al precedente n. 10 - avendo Cristo, luce del mondo, già riscaldato la terra tramite i due luminari, cioè i beati Domenico e Francesco, facendo così retrocedere il freddo dell'infedeltà e ritornare il calore della carità, in questa primavera spirituale, quando i loro Ordini, vivendo ancora i fondatori - cioè prima del 1221 - crescendo come alberi, producevano già estirpatori di eresia quegli uomini illustri, iniziatori dell'Ordine dei Servi, cominciarono ad apparire al mondo giungendo progressivamente a tale perfezione che al momento sopra indicato - cioè al tempo della natività del b. Filippo, nel 1233, precisa il testo - erano già capaci, quali stelle spirituali, di addurre altri, con la luce della parola e l'esempio dell'umiltà, allo stato di perfezione. Segno della loro religiosità è appunto il fatto che proprio essi sono stati scelti dalla nostra Signora per fondare il suo Ordine.

23

Avendo insistito nel numero precedente sulla perfezione e religiosità dei gloriosi Padri dell'Ordine, l'autore affronta una difficoltà che potrebbe sorgere in proposito dal silenzio circa eventuali miracoli da essi operati. Il fatto di non conoscerne potrebbe essere dovuto alla lontananza degli avvenimenti narrati e alla morte dei frati “antiqui”, cioè di quelli appartenenti alla prima generazione. Bisogna poi tener presente - continua l'autore - che compier miracoli non è segno certo di perfezione e di religiosità, come appare da testi evangelici riferiti in proposito: perfetta religiosità non è il risuscirare i morti o il ridonar la vista ai ciechi, ma è amare sommamente Iddio, conservare rapporti di carità con tutti, essere cordialmente umili.

24

Altro motivo già sopra addotto dall'autore e che a lui sembra ancora più attinente al caso in questione è il seguente: la nostra Signora non ha voluto che alcun santo iniziatore del suo Ordine operasse miracoli “evidenti” per far capire che essa sola doveva ritenersi fondatrice, secondo quanto rilevato precedentemente nei nn. 7-8. È infatti ai Sette che dovrebbe riconoscersi eventualmente tale prerogativa quali “primi” dell'Ordine, ma a nessuno di loro, né come gruppo né individualmente, ciò può effettivamente attribuirsi dato che, secondo la testimonianza di fra Alessio, essi si stimavano riuniti per divina ispirazione al solo scopo di compiere più facilmente e degnamente la volontà di Dio. Ne consegue che la fondazione dell'Ordine è da attribuirsi solo alla nostra Signora dalla quale esso deve perciò prendere anche il nome.

25

Partendo dall'affermazione del paragraio precedente, che cioè la Madonna è da ritenersi unica fondatrice, l'autore - con un procedimento analogo a quello del n. 23 - rileva come questo non sia contraddetto dal titolo proprio dell'Ordine: “Ordine dei frati Servi della beata Maria Vergine”, perché triplice di fatto è il nome di esso: uno generale, legato alla regola già professata dai “senes”, l'altro speciale, dedotto dall'impegno di servizio mariano, proprio degli appartenenti all'Ordine e il terzo specifico, derivato da colei che ne è stata la fondatrice. Questa pluralità di titoli, del resto, trova riscontro in altri Ordini del tempo, quale, per esempio, l'Ordine dei frati Predicatori.

26

Riallacciandosi ai sette uomini scelti dalla Madonna per iniziare il suo Ordine, l'autore rileva che di essi ha conosciuto solo fra Alessio, conservato a lungo - egli stima - per disposizione della nostra Signora affinché, tramite lui, i frati potessero essere informati sulle origini dei Servi. Volendo appunto lo scrittore raccogliere dalla bocca di fra Alessio tali informazioni, si era recato un giorno nella cella del vecchio frate annotando su un foglio quanto questi gli andava narrando, foglio che aveva poi perduto nel convento di Siena essendogli, per un colpo di vento, caduto nel pozzo. Pur avendo perciò dimenticato varie cose per il lungo tempo trascorso, spinto dalla Madonna, vuole nondimeno trasmettere quale tesoro ai suoi frati i punti essenziali del discorso di fra Alessio dei quali conserva chiaro il ricordo.

27

Descrive poi la santa vita condotta in vecchiaia dallo stesso fra Alessio e la morte di lui quale prova della perfezione e della religiosità dei Sette di cui l'autore aveva sinora parlato solo in riferimento alla loro vita laica (cf. nn. 19-20). Il vecchio frate invece di cercare lenimenti nell'osservanza religiosa, si atteneva in tutto - cibo vesti riposo e lavoro - all'austerità della regola impegnandosi nei più umili servizi suggeriti dalla carità, compresa la questua per il cibo quotidiano, lasciando così esempi da imitarsi ai frati che vogliono servire fedelmente la nostra Signora.

28

Giunto a decrepita età e avendo visto accrescersi l'Ordine e il numero e la santità dei frati, fra Alessio poteva ormai attendersi dalla sua Signora il premio per il fedele servizio prestatole. Infatti, a testimonianza della purezza e contemplazione sua e dei compagni, vide in agonia farglisi incontro degli uccelli e Cristo incoronato, in figura di bambino in mezzo a loro, come è stato riferito all'autore da fra Lapo, nipote di fra Sostegno. Questo accadde nel 1310: Alessio era vissuto circa 110 anni, trascorrendone circa 77 nell'Ordine. Al termine del paragrafo inizia poi una frase che annunzia, come nel titolo del capitolo, i nomi dei sei compagni di fra Alessio che però non ci vengono trasmessi.

29

Avendo dunque - riprende lo scritto riallacciandosi al n.21 - ciascuno dei Sette sopraddetti, mentre abitavano ancora nelle proprie case, raggiunto tale perfezione e religiosità da essere assunti - come era stato rilevato nei nn.22 e 26 - dalla Madonna per dare origine al suo Ordine, pur non conoscendosi inizialmente dato che abitavano in parti diverse della città, finirono per mirabile disposizione della nostra Signora, mediante ripetuti incontri provocati dalla comune attività, col divenire l'uno amico dell'altro. Era infatti conveniente che, uniti nella perfezione spirituale, fossero anche interiormente legati dall'amicizia, dovendo poi tra non molto esser riuniti dalla Madonna per l'istituzione del suo Ordine. Prova evidente di tale legame è il consenso unanime con il quale essi fin d'allora si comportavano nel seguire il beneplacito di Dio, ma ancora più il desiderio incontenibile di lasciar tutto e di coabitare per gioire non solo dell'unione dei cuori ma anche della presenza sensibile e del vicendevole incitamento al bene preparandosi alla gioia suprema dell'unione spiriituale e corporale con Cristo per il cui amore si erano amati tra loro.

30

Avendo dunque quegli stessi uomini, spinti da divina ispirazione, deciso di riunirsi per la salvezza delle loro anime e di perseverare sino alla morte nella penitenza, come si erano decisi a questo dopo matura deliberazione, sotto impulso della nostra Signora, così disposero tutto con sollecitudine per raggiungere giustamente e liberamente tale scopo e così trascorrere il resto della loro vita irreprensibile nel servizio del Signore e nel compimento della sua volontà. Si liberarono prima di tutto da quanto potesse esser loro di impedimento disponendo delle proprie cose e delle loro famiglie in modo da lasciare a queste tutto il necessario ma distribuendo il resto ai poveri e alle chiese, decisi a non ritenere alcuna cosa per sé al momento della loro unione. Coloro poi che erano congiunti in matrimonio - secondo quanto già riferito al n. 16 - rendendosi liberi con il consenso delle mogli, conformemente al diritto, consacrarono anche queste, con il loro accordo, al servizio divino. Cercarono poi di assuefarsi “per longum tempus” a quanto avrebbe loro permesso di perseverare nel servizio di Dio dandosi nelle proprie case all'osservanza degli impegni legati alla vita religiosa: abbandonando vesti preziose e camicie di lino, indossando prima di tutto un mantello e una tunica bigi e panno ruvido sulla nuda pelle; moderandosi nel nutrimento ne prendevano solo quanto necessario; imponendo una disciplina a tutti i loro atteggiamenti cercarono di tenersi sempre nel giusto mezzo; perseverando notte e giorno nell'orazione impararono a piacere a Dio solo; fuggendo lo strepito del mondo e le vane conversazioni frequentarono luoghi devoti e solitari nei quali potessero darsi liberamente alla contemplazione; accostando infine uomini di buon consiglio e di santa vita che li potessero aiutare a restar fedeli al loro proposito li misero al corrente dei loro intenti.

31

Liberati così dal mondo interiormente ed esteriormente, postisi in condizione di abbandonarlo senza scrupolo di coscienza e senza ledere la giustizia, abituati a quanto avrebbero osservato una volta che fossero stati riuniti, i Sette sopraddetti, nel giorno da essi fissato e loro divinamente ispirato dalla Madonna, con riverenza e timore di Dio, si riunirono a vita comune onde realizzare quanto da tempo desideravano. Vi era a Firenze fuori della porta di città nell'angolo del cimitero dei frati Minori una casupola: fu in tale casupola, il giorno sopraddetto, al tempo cioè della nascita del b. Filippo, che i Sette, unendosi “corporalmente” e dando inizio all'Ordine della b. Vergine Maria e dei suoi Servi, realizzarono il loro desiderio.

32

Con una nuova pausa d'arresto la LO torna ora sul nome che sarebbe stato attribuito volgarmente ai primi padri dell'Ordine fin dal suo inizio, nome sul quale lo scrittore aveva già dissertato al n. 25 dopo aver affermato l'origine mariana dell'Ordine stesso. Con espressioni esclamative afferma, rivolgendosi ai frati, che gli illustri primi padri dell'Ordine appena riuniti vennero chiamati da tutti comunemente frati Servi della b. Vergine Maria, senza che essi sapessero donde tal nome potesse derivare. Questo starebbe a dimostrare che tale nome proviene dalla stessa Signora nostra, la quale, come non aveva voluto che a nessun altro potesse attribuirsi l'origine dell'Ordine, così volle che il titolo di questo fosse da lei stessa e dal Figlio suo trovato e offerto ai suoi frati.

33

Quanto detto sopra sull'origine del nome fu confermato all'autore da fra Alessio che richiestone esplicitamente avrebbe precisato che né lui né altri poté mai sapere donde derivasse tale nome e perciò ne aveva concluso, unitamente ai suoi compagni, che esso proveniva dalla nostra Signora. Ora se c'era qualcuno che poteva essere al corrente di come stavano le cose in proposito era proprio fra Alessio, uno dei primi sette. Per questo i frati, se non vogliono esser tacciati d'ingratitudine, devono ritenere a parole e a fatti che tale nome è stato loro dato dalla nostra Signora la Vergine Maria. Ciò del resto -osserva l'autore - sarà provato dalla stessa quando, come sarà poi detto, essa apparirà al b. Pietro martire, suo devoto, indicandogli in visione l'abito e la regola e confermandogli insieme che il nome veniva appunto da lei.

34

Con una esortazione conclusiva, simile a quella dei nn. 8 e 22, si rileva la responsabilità connessa con l'assunzione del titolo di servizio alla Vergine da parte dei frati tramite la loro professione. Coloro che prendono questo titolo con purezza di cuore e lo esprimono rendendo alla nostra Signora i dovuti atti di ossequio, esaltano e onorano il suo Ordine e possono attendersi il premio dovuto a tale servizio; coloro invece che lo assumono e lo portano indegnamente, disonorano l'Ordine della stessa Vergine Maria.

35

Sotto la cura di Dio che era stato loro provvidenzialmente vicino lungo il cammino percorso, quegli uomini, una volta riuniti, si impegnarono totalmente a realizzare il precetto di una ordinata carità. Dirigendo il loro affetto a Dio lo amavano unanimemente con tutto il cuore niente desiderando fuori di lui. Volgendo poi a lode sua tutta la loro vita vegetativa e sensibile e proponendosi in ogni atteggiamento interiore e nelle loro opere la sua gloria e il suo onore, lo amavano con tutta la loro anima. Sottomettendo infine al servizio divino ogni ricerca e investigazione intellettuale, amavano incessantemente Dio con tutta la loro mente.

36

Per amore verso se stessi cercavano di sostenere la propria anima nella lotta contro la carne imponendosi opere di penitenza, seguivano gli impulsi virtuosi dello spirito sottomettendo ad essi gli istinti della carne, custodivano l'intimità della loro coscienza vigilando sui sensi perché non turbassero l'interiore contemplazione. Non trascuravano neppure il proprio corpo cercando di nutrirlo convenientemente perché non ricusasse il peso della penitenza, dirigendolo secondo i dettami dello spirito perché si mantenesse nella via di una salutare disciplina, sottoponendolo alla penitenza perché non si comportasse meno degnamente.

37

Anche nei rapporti verso il prossimo si ispiravano ugualmente alla carità. Posti a contatto con le altrui necessità spirituali e corporali, le compartecipavano nell'intimo e secondo la loro possibilità le sollevavano; ritenendo gli altri propri fratelli usavano ad essi misericordia rimettendo loro eventuali offese ricevute; sensibili al loro stato spirituale si rallegravano con i giusti sostenendoli nel loro impegno e compativano i peccatori sforzandosi di indurli alla conversione.

38

Impegnati così nella carità verso Dio, se stessi e il prossimo, si esercitavano in tutte le opere buone. Alle ingiurie ricevute opponevano, da forti, la pazienza; alle mollezze della vita la continenza, alla pigrizia il fervore della sofferenza, all'ignoranza la generosità della benignità; alla sollecitudine mondana la prudenza, non ambendo gli onori e non cercando i propri interessi; all'incostanza la perseveranza, reputando massimo supplizio l'esser separati dall'amore di Cristo.

39

Partendo da una profonda umiltà potevano ormai radicarsi decisamente da forti nell'impegno dell'amore di Dio, sostenere con maggiore fortezza, nell'attesa delle realtà eterne, le prove che da lui potevano derivare, e nella pienezza della carità, quali uomini fortissimi, ritenere sommo gaudio patire per Cristo. Così, come vergini prudenti, tenevano pronte nelle mani le lampade: il vaso terso era il loro cuore pronto ad accogliere il dilet- to, l'olio l'attesa gioiosa di lui, la fiamma il fervoroso desiderio con il quale gli andavano incontro, la luce che ne promanava, l'esempio offerto al prossimo e l'attenzione volta alle cose superne con cui, aprendo le porte del cuore ed accogliendo Cristo, colmi del dono della sua grazia, giubilavano per la presenza dello Sposo. In tal modo offrivano a tutti esempi di santa vita, comunicavano agli altri la carità e li portavano ad aprirsi all'amore di Cristo.

40

Essendo essi così volti, nella carità, verso Dio, se stessi e il prossimo, vengono quodidianamente ricercati da uomini e donne desiderosi di impetrare le loro preghiere e di ottenere i loro consigli e sono perciò distratti dalla contemplazione. Cominciarono perciò a riflettere i detti gloriosi padri che essendosi separati dalla loro terra e dalla propria parentela, cioè dai piaceri corporali e dall'incertezza interiore, avrebbero potuto ora essere impediti da quella frequenza dal raggiungere la terra dei viventi loro mostrata da Dio e decisero quindi di tendervi senza esitazione. Unanimi nell'amare sommamente Dio, nel cercare in tutto il suo onore e nell'aderirgli per sempre, ottennero da lui unità di cuore nel voler fuggire il concorso della gente così come l'avevano avuta nel mettersi a vivere insieme edificando il popolo. Interrompendo l'orazione e la contemplazione per intrattenersi in colloqui spirituali, si incitavano vicendevolmente ad abbandonare quel luogo pieno di pericoli e a cercarne, sotto la guida di Dio, un altro solitario nel quale il loro intento potesse esser salvaguardato. Non sapendo però come attuare questo loro desiderio, si affidarono totalmente a Dio che aveva mostrato fino a quel momento di aver cura di loro ed egli provvidenzialmente indicò ad essi il luogo adatto procurando insieme il modo di potervisi stabilire.

41

Dopo l'accenno fatto ad un imprecisato luogo solitario, l'autore passa ora a descriverlo. Vi è - dice - un monte distante da Firenze circa otto miglia (il miglio è qui calcolato due chilometri e 260 m. circa) che per la sua natura cavernosa facilmente echeggia ed è perciò chiamato monte Sonoro o Sonaio, benché da molti del popolo sia anche detto con dizione corrotta Asinario. Dio mostrò tale monte ai detti padri ispirandoli interiormente e li sostenne nella ricerca e nel prendervi dimora. Osservando da lontano questo monte, che può ritenersi indicato da Dio in quanto soprelevato sulle alture circostanti, e avvicinandosi ad esso per esaminarne la struttura, trovarono sulla vetta un piccolo ma bellissimo ripiano, sul fianco una sorgente e tutt'intorno un bosco così ordinato da sembrare piantato da mani d'uomo. Ritenendolo rispondente al loro “proposito” perché lontano dalle abitazioni e adatto per condurvi vita penitenziale, grati a Dio si incitavano vicendevolmente a lasciar la città e le conversazioni umane e, senza volgersi indietro, a salire su questo monte preparato loro dalla provvidenza per attendere ormai al solo compimento della volontà di Dio. Salendo dunque sul monte, vi eressero una casupola e vi si trasferirono abbandonando la casa che prima avevano a Firenze.

42

L'autore si sofferma ora a dimostrare, con ripetuta triplice argomentazione, perché il monte “Sonaia” fosse, come luogo, la dimora più adatta al momento di ascesa spirituale di quegli uomini illustri e convenisse, per il suo nome, alla eco dei loro esempi. Infatti, purificati dalla contrizione mentre dimoravano nella valle delle lacrime, si erano resi atti all'ascesa, vivendo poi nella pianura dei costumi, edotti dallo Spirito e rivestiti di mansuetudine, potevano camminare con innocenza nella casa di Dio; giungendo quindi sul colle delle virtù, nutriti spiritualmente e arricchiti di doni celesti non dovevano più temere gli assalti nemici ed erano ormai degni di salire a contemplare sul monte dove illuminati, dotati di sapienza e di intelletto e perfusi di celeste felicità, potevano ormai fissare gli occhi su Dio ponendo in lui ogni loro fiducia.

43

Il monte conveniva anche al suono o all'eco che quei santi uomini avrebbero suscitato. All'appello di Dio che li attirava alla sua conoscenza e al suo amore rispondevano col suono di una pronta obbedienza; alla mozione dello Spirito, con un dolce suono di devota invocazione a non allontanarsi da loro; impegnandosi in opere sante offrivano al prossimo il suono del loro esempio e diffondevano il buon odore di Cristo. I frati poi dell'Ordine della B.V. Maria, di cui essi costituivano l'inizio, avrebbero dovuto da parte loro, con il suono della parola e delle opere, manifestarsi al mondo a lode di Dio incitandolo così a seguire Cristo. Era perciò conveniente che emettendo costoro suono così dolce nei riguardi di Dio, di se stessi e del prossimo (mentre i frati che ne sarebbero derivati lo avrebbero fatto nei riguardi del mondo intero) ricevessero da Dio e fissassero la loro dimora in un luogo sonoro. Il monte Sonaia, preparato loro da Dio e da essi abitato, conveniva dunque veramente alla loro ascesa e alla eco che il loro operato avrebbe avuto.

44

Dopo aver rilevato come il monte, con la sua struttura e il suo nome, conveniva al grado di spiritualità raggiunto da quegli uomini, l'autore descrive la triplice dimora ivi da essi costruita: materiale, mistica e morale. Il “tabernaculum” materiale fu l'abitazione vera e propria in cui si raccolsero: mostrata da divina ispirazione, essa fu fondata sulla sommità del monte, costruita con povero materiale, irrigata da una sorgente, circondata dal bosco, decorata da un verde prato, dotata di aria purissima e completata con l'insediamento dei detti gloriosi padri. Il tabernacolo morale fu invece il domicilio di Cristo stabilito nel loro spirito: presentato esemplarmente nel Cristo-monte, esso fu edificato dalla stessa sapienza, fondato sull'altura della carità, situato nell'anima di ognuno dei detti padri, costruito con la consonanza delle virtù, sostenuto con la custodia di esse, decorato interiormente dallo splendore della purezza, esteriormente adornato dalle buone opere e condotto a perfezione dalla presenza di Cristo. Il tabernacolo mistico infine fu il singolare rifugio dei frati dell'Ordine: edificato principalmente dalla nostra Signora, fondato nell'umiltà dei frati, costruito con la loro concordia, conservato dalla povertà, ornato di mondezza e perfezionato dalla presenza di santi frati.

45

Quest'ultimo tabernacolo, che si identifica con l'Ordine dei Servi della b. Vergine Maria, iniziato nella persona dei padri, venne ben presto ad accrescersi e dilatarsi. Trovandosi infatti quei padri sul detto monte loro preparato da Dio e avanzando lassù nel cammino delle virtù, cominciarono, con la cooperazione di Dio e a causa della loro vita esemplare, a suscitare l'affetto e la venerazione del popolo attraendolo più di quanto non avvenisse quando vivevano tra la gente. Molti, infatti, provenienti dalla città e dal contado fiorentino, mossi dal suono e dal profumo della vita di quegli uomini, esortandosi a vicenda salivano al monte per apprendere da essi le vie del Signore e impegnarsi a imitare quanto veniva loro mostrato da quei suoi servi. L'autore non può trattenersi a questo punto dall'ammirare quell'epoca felice nella quale era tangibile la cura provvidente di Dio e così efficace la risonanza dei santi esempi dei padri.

46

Le numerose persone che frequentano sul monte quei gloriosi uomini ne traggono frutti diversi secondo le capacità di ciascuno. Alcuni, osservando la loro vita e trovandoli uomini retti, veritieri, benevoli, pronti a tollerare il male, a perdonare le offese e a soffrire per la verità, si decidevano a cambiare il loro modo di vivere fuggendo la duplicità e cercando la semplicità, odiando i vizi e amando le virtù. Altri, intrattenendosi con loro sulla patria celeste si infervoravano e manifestavano la propria gioia nel vederli totalmente intenti a prepararsi con la purezza del cuore all'attesa di Cristo, pronti ad andargli incontro con fervoroso desiderio come ad Amico, e ad aprirgli come a Sposo, dopo aver rischiarato il loro cuore con esempi offerti al prossimo e con la contemplazione delle cose superne, decisi ad amarlo - dopo averlo accolto - come sommo bene con l'intento di ottemperare ad ogni suo volere.

47

Altri, infine, attratti dalle loro virtù e mossi dalle loro parole ed esempi, non solo li amavano interiormente come amici di Dio, ma si sentivano spinti ad unirsi a loro per servire insieme il Signore su quel monte. Quegli uomini, infatti, apparivano loro dotati di doni incomparabili e sempre volti con lo spirito alle cose celesti. Il dono del timor di Dio li rendeva umili e disponibili; il dono della pietà miti e ricercatori di Dio; il dono della scienza afflitti per il male compiuto; il dono della fortezza affamati e assetati di giustizia; il dono del consiglio misericordiosi; il dono dell'intelletto puri di cuore e atti alla contemplazione delle cose celesti; il dono della sapienza pacifici, docili allo spirito, amorosamente ossequenti a Dio. Essendo dunque colmi di tali doni nello Spirito, è normale che molti si decidessero a voler dimorare e rimanere per sempre con loro.

48

Quei gloriosi padri, di fronte all'accorrere di molti desiderosi di unirsi ad essi per amore della patria celeste, avendo sperimentato a più riprese, dopo la loro unione, che Dio prendeva cura di loro e che perciò tutto avveniva secondo la divina disposizione, ne conclusero che anche la decisione di quegli uomini non poteva essere avvenuta che per opera di Dio. Capirono di essersi uniti per segreta disposizione della nostra Signora non solo per acquistare e conservare una santità personale, o per abitare, mossi dallo Spirito, su quel monte tanto adatto ad una vita penitente, ma anche per aggregarsi altri fratelli intenti agli stessi scopi e in tal modo estendere l'Ordine iniziato per loro mezzo dalla nostra Signora, e con la propria parola ed azione e con quella dei loro frati, richiamare molti dall'errore conducendoli allo stato di perfezione, alla conoscenza e all'amore di Dio preparandoli così alla patria celeste. Perciò, benché fosse loro molto gravoso abbandonare l'abbondanza della contemplazione e occuparsi degli altri, volendo compiere soprattutto la volontà di Dio manifestata loro in tal modo, si disposero ad accogliere come fratelli uomini timorati del Signore e ne ricevettero di fatto alcuni in quel tempo.

49

Stimando quegli stessi uomini che il monte Sonaio, per riverenza verso Dio che aveva loro preparato quella dimora, non dovesse mai esser abbandonato né da essi né dai frati che sarebbero loro succeduti, essendo quel luogo insufficiente ad accogliere i nuovi venuti e quelli che li avrebbero seguiti, furono obbligati ad acquistare altri luoghi e perciò ad interessarsi della salvezza delle anime. Così quei gloriosi padri, dopo aver abbandonato il monte della superbia e aver raggiunto l'umiltà, fondamento delle virtù, avendo su quella costruito l'edificio delle virtù stesse, erano pervenuti alla carità - culmine di esse - ed avevano provveduto in tal modo alla propria perfezione, ora, volendo in tutto attenersi al volere di Dio, accolsero molti fratelli e soci nella propria congregazione e sotto la guida di Dio accettarono allora diversi luoghi atti alla loro vita penitente.

50

Avendo già i gloriosi padri accolto nel loro consorzio numerosi fratelli e cominciato ad abitare in luoghi diversi da essi acquistati, essendo ormai vicino il tempo in cui il b. Filippo, entrando nell'Ordine, doveva illuminarlo quale lucerna preparata appositamente a tale scopo, era necessario che l'edificio, cioè l'Ordine che doveva accoglierlo, fosse del tutto condotto a termine. Fu appunto per fissare l'abito che i frati dovevano stabilmente indossare e la regola che essi dovevano professare, che Iddio inviò loro il b. Pietro martire dei frati Predicatori.

51

Il b. Pietro martire, inviato da papa Innocenzo IV a predicare contro gli eretici allora numerosi in Italia e apertamente ostili al domma cattolico, giunge nel 1244 a Firenze. Ivi, mentre è impegnato nell'espletamento del suo compito, viene conosciuto dai detti uomini illustri che ne frequentano le prediche e che, vedendolo pieno di Spirito Santo, sono indotti a legarsi con lui in amicizia e a sceglierlo come speciale padre e signore e loro particolare consigliere. Egli, da parte sua, dopo aver esaminato la loro condotta e quanto era accaduto a partire dal momento in cui si erano uniti, avendone conosciuto, anche attraverso la confessione, la perfezione e la religiosità, li adottò come figli spirituali.

52

Pietro, persuaso, in seguito a quanto aveva constatato, che tramite quegli uomini sarebbe derivato onore a Dio e utilità a tutti e osservando, d'altra parte, che non avevano un abito fi sso da portare né una regola da osservare (benché essi avessero, dal tempo della loro prima unione, per voce di popolo, un nome particolare) avendoli presi sotto la sua cura, si rivolse a Dio e alla nostra Signora per essere sincerato appunto circa l'abito, la regola e il nome. In particolare impetrò dalla Madonna, per il cui amore si stava occupando di quei frati, di mostrare, per amore del Figlio suo, se veramente li aveva scelti per il suo particolare servizio - come stava a dimostrare il nome loro comunemente attribuito - e se voleva da essi far nascere un Ordine a lei dedicato, offrendo qualche segno e indicando abito, regola e nome. Mentre il b. Pietro perseverava in tale preghiera e quei gloriosi padri, unitamente ai fratelli da essi accolti, lo accompagnavano con preghiere, digiuni e opere sante, la gloriosa Vergine Maria apparendo in visione al santo frate lo assicurò di aver scelto quegli uomini e coloro che si sarebbero uniti loro al suo servizio particolare, di aver impetrato dal Figlio che da essi derivasse un Ordine a lei dedicato e che da lei prendesse il nome; mostrò poi l'abito che dovevano portare in seguito - e che di fatto, nota l'autore, portano ancora al tempo suo - quale segno dell'umiltà della stessa Vergine Maria e della pena da lei sofferta nella passione del Figlio, e fece sapere che doveva esser data loro, quale norma di vita, la Regola di s. Agostino.

53

Il b. Pietro, uomo devoto di Dio e della nostra Signora, risvegliatosi e ritenendosi certificato di quanto desiderava, ringraziò debitamente Dio e la Madonna e al mattino celebrò a tale scopo con gioia la messa della nostra Signora. Si recò poi con un compagno dai frati nel luogo che essi hanno tuttora a Firenze - nota l'autore - e riunitili nell'abitazione che ivi allora avevano, riferì la visione avuta dalla Madonna circa lo stato futuro dell'Ordine, l'abito che dovevano indossare e la regola che dovevano osservare da quel momento, notificando che il nome di “servi della Vergine Maria” - che già portavano - veniva ugualmente dalla nostra Signora e avrebbero perciò dovuto conservarlo per sempre. Esortatili a ringraziare la Madonna e raccomandatosi alle loro preghiere, se ne tornò al convento col compagno.

54

Il b. Pietro dovendo per l'ufficio affidatogli evangelizzare anche le altre città d'Italia, dopo aver estirpato per virtù dello Spirito Santo l'eresia a Firenze, si recò a Milano. Ivi, predicando e confermando la verità con miracoli, confutò gli eretici e, dopo aver combattuto quale vero soldato di Cristo, terminò il suo corso con il martirio andandosene a ricevere la corona di giustizia dal Signore cui aveva serbato fede. Morì nel 1251, anno primo del pontificato di Alessandro IV. Come sia vissuto nel suo Ordine, in qual modo Dio confermò con miracoli in morte e dopo morte la di lui santità e la verità della sua predicazione e dove egli sia stato deposto si potrà trovare narrato nella sua “Legenda”.

55

Fissati ormai la regola e l'abito e confermato il nome ad opera della nostra Signora, l'edificio dell'Ordine appariva completo nelle sue strutture e adatto ad accogliere il b. Filippo, la lampada predisposta da Dio, che doveva occuparvi un luogo preminente. Il beato infatti, raggiunto il ventunesimo anno d'età - mentre i gloriosi padri ne avevano trascorsi altrettanti nel divino servizio - nell'anno 1254, primo del pontificato di Alessandro IV, entra nell'Ordine in modo incredibilmente umile, come sarà poi detto nella sua “Legenda”.

56

Avendo la nostra Signora riunito i gloriosi padri, dai quali doveva derivare il nuovo edificio dell'Ordine, nello stesso tempo e luogo in cui era nato il b. Filippo, perché fosse manifesto che il medesimo beato, giunto nel frattempo all'età perfetta, una volta posto sul candelabro, avrebbe dovuto costituire, con la parola e l'esempio, per i frati che l'avrebbero seguito, la norma vivente di un fedele servizio mariano, la stessa Vergine pre- dispose che, contemporaneamente all'ingresso di Filippo nell'Ordine si realizzassero per i suoi frati eventi favorevoli. Recatisi infatti questi alla curia, che si trovava in quel tempo a Napoli, subito dopo l'entrata fra di loro di Filippo, ottennero da Alessandro IV, sempre nel suo primo anno di pontificato, il primo privilegio dell'Ordine: che essi cioè potessero avere gli edifici necessari, erigere un oratorio con campana e costruire un cimitero in tutti i luoghi in cui si sarebbero stabiliti. Se infatti fin da allora gli stessi frati possedevano diversi luoghi, non avevano però autorizzazione per costruire oratori con campana e un cimitero annesso, e benché nei medesimi conventi erigessero, per concessione del vescovo diocesano, degli altari a loro uso, non lo facevano a tenore di un preciso privilegio. Da quel tempo invece tutto questo fu loro concesso anche per i luoghi che avrebbero in seguito avuto nelle diverse parti del mondo.

57

Pur essendo il b. Filippo, per nascondere la propria scienza, entrato nell'Ordine quale frate laico vivendo in tale stato per quattro anni, non potendosi però occultare a lungo la luce, la sua scienza per disposizione della nostra Signora divenne palese nel modo che sarà narrato nella sua “Legenda”. Nel tempo medesimo in cui questo accadeva, i frati ottennero dallo stesso Alessandro IV, nell'anno quarto del pontificato, cioè nel 1258, di poter accogliere nelle loro chiese per la sepoltura quanti ne avessero fatto richiesta. Tale secondo privilegio conferma e suppone il precedente: mentre infatti con il primo viene riconosciuto ai conventi dell'Ordine un carattere ecclesiastico, con il nuovo privilegio gli stessi luoghi sono posti anche al servizio degli estranei.

58

In tal modo la nostra Signora, per i meriti del b. Filippo, aveva provveduto ai frati dell'Ordine circa i conventi da edificare e circa le sepolture. Gli stessi frati però mancavano tuttora dell'autorità apostolica di riunire il capitolo generale e di eleggervi un priore generale, benché in effetti tenessero capitolo dal tempo in cui, tramite il b. Pietro martire, avevano ricevuto dalla nostra Signora l'abito e la regola, eleggendo in esso, per ignoranza del diritto, il priore generale e ricorrendo poi alla curia per ottenere la conferma. Avvicinandosi ora il tempo in cui la nostra Signora voleva porre il b. Filippo sul candelabro dell'Ordine, affinché al momento della di lui elezione a generale i frati godessero dell'autorizzazione sopraddetta e il priore generale potesse correggere i frati stessi ed esercitare gli altri diritti inerenti al suo ufficio, più o meno nel tempo in cui il b. Filippo, suo malgrado, veniva promosso al sacerdozio, la stessa nostra Signora conferì all'Ordine una grazia più importante ancora delle precedenti.

59

Nel 1263, anno secondo del pontifiato di Urbano IV, essendo stato il b. Filippo promosso al sacerdozio, fra Iacopo da Siena, eletto priore generae, si recò alla curia con alcuni frati per esser confermato nell'ufficio. Era allora protettore dell'Ordine Ottobuono Genovese, cardinale di s. Adriano, il quale, pur sapendo che i frati non avevano il privilegio di tener capitolo e di eleggersi in esso un priore generale, considerando la loro santità, per ispirazione della nostra Signora e i meriti del b. Filippo, decise di impetrar loro dal sommo Pontefice tale privilegio. Comparsi i frati dinanzi al papa e ai cardinali riuniti in concistoro, il detto cardinale presentò una richiesta in tal senso. Urbano fece rilevare che concedere un simile privilegio equivaleva a costituire un nuovo Ordine, tuttavia per le insistenze di Ottobuono, a cui si erano associati, per amore della nostra Signora, gli altri cardinali, e che gli chiedeva quel favore come una grazia personale, egli finì per acconsentire dicendo che la concedeva basandosi sulla testimonianza del cardinale e per amore della Vergine Maria di cui quei frati eran detti volgarmente Servi. Fra Iacopo fu subito confermato dallo stesso papa Urbano ricevendo così per primo questo parti- colare favore.

60

Ottobuono ottenne dal Signore - mentre era ancora in vita - la ricompensa per il gesto compiuto. L'anno terzo infatti da quando era stato ottenuto il predetto privilegio, cioè nel 1266, morto Urbano IV, egli venne eletto unanimemente papa dai cardinali e prese il nome di Adriano V. Ma affinché il suo animo non venisse corrotto dalla lunga permanenza in tale dignità, il Signore mise presto fine alla vita di lui: dopo un solo mese di pontificato andò a ricevere dallo stesso Signore la ricompensa per il privilegio impetrato all'Ordine e per il bene compiuto.

61

Ottenuto detto privilegio, fra Iacopo continuò a governare l'Ordine con rettitudine per due anni. Dopo di lui, nel 1265, anno primo del pontificato di Clemente IV, fu eletto fra Manetto, uomo santo e pio, di bell'aspetto e di complessione delicata, che si recò in curia, a Perugia, per ottener conferma dell'elezione. Dopo due anni Manetto si dimise e il b. Filippo fu eletto concordemente priore generale. Questo avvenne nel 1267, anno terzo del pontificato di Clemente IV. Filippo, onde ottenere la conferma nell'ufficio, andò alla curia che si trovava allora ad Orvieto e venne confermato dallo stesso Clemente. Come più precisamente egli fu eletto, come e per quanto tempo resse l'Ordine e come poi se ne andò dal Signore verrà narrato subito nella sua “Legenda” che, con l'aiuto di Dio, l'autore desidera portar presto a compimento.

62

Appare così, a lode della beata e gloriosa Vergine Maria, come l'Ordine abbia avuto inizio e si sia poi sviluppato fino al momento in cui il b. Filippo venne ad essere preposto. A lode e onore della stessa Vergine, cui si deve l'aver potuto terminare lo scritto precedente, si passerà ora a narrare - come è stato promesso - la vita del b. Filippo.
Termina così la ”Legenda” dell'Ordine dei frati Servi della Vergine Maria.